Ogni settimana, LiberoLibro si propone di consigliare, tramite le recensioni dei nostri fidati recensori, un libro in particolare. Questa settimana consigliamo David Copperfield, di Charles Dickens; recensione di Gresi Vitale. Buona lettura!
Il grande ricordo che segna quel tempo nella mia mente, sembra aver inghiottito tutte le memorie minori, ed esistere solo.
Ci sono moltissime passioni che rispondono nel modo più perfetto ad un determinato uomo. Divengono timone e vela della nostra anima navigante e spargono ovunque un pizzico di follia. Personalmente, se dovessi esprimermi per metafore, ho sempre considerato le passioni come una sorta di vertigine alla nostra ispirazione. Piccole venuzze che spuntano da una fessura di una roccia che continua a zampillare senza interruzione. Si accumulano lentamente nella cavità della nostra anima e, solo dopo, attingerne qualcosa di naturale.
Per me, e per molti altri autori, le attività individuali più fertili e affidabili per il nutrimento della mia anima furono la lettura e la scrittura. E il proposito di scrivere per caso lo concepì constatando quanta gioia si celi nel catturare il pensiero astratto su pagina. Il mio stile ancora semplice e acerbo, tuttavia, mi rende consapevole di come scrivere un romanzo richiede molta energia fisica. Molto tempo e molta cura. Un po’ come correre una maratona, come dice il mio amato Murakami.
Le recensioni che scrivo, i romanzi che leggo, mi fanno prendere coscienza su qualcosa che ormai considero come una certezza: le stanze buie della mia anima trovano lucentezza, rifugio e senso di conforto nella letteratura. Un’idea folle che è nata in me quando ero ancora una bambina e che, in un momento imprecisato della mia vita, ha affondato le sue radici crescendo lentamente.
Per poter scrivere l’ennesima recensione di uno dei pilastri di tutta la letteratura vittoriana, l’autobiografia romanzata della vita del grande scrittore ottocentesco, del mio incontro con David – una lotta tra due mondi che restano tuttavia nettamente separati -, ho atteso il momento più adatto in cui le parole scivolassero nei ricordi luminosi della mia coscienza e si scontrassero contro oscure ombre, nello spazio bianco della mia camera. Per qualche momento, frustrata e insoddisfatta, osservando una pagina bianca intrappolata in una finestra virtuale dalla luce vaporosa, aspettavo trepidante che mi venissero date le parole. Scivolassero lentamente nella mia coscienza in un luogo diverso da quello di cui ero circondata fino a quel momento. E, allo stesso tempo, trasmettessero immagini nitide ma remote. Echi lontani di una realtà che ha le caratteristiche di una giardino abbandonato in cui è impossibile non provare compassione. Nutrire il nostro cuore di piccole gocce di veleno, anche se per qualche giorno. Esperienze tanto strane quanto sordide.
Mi sono circondata da fantasmi prigionieri che, in un’ incessante lotta contro il protagonista, mi si coagularono attorno. Non presero consapevolezza di se stessi persino nelle loro fantasie più nascoste, amalgamandosi a tal punto da costituire un unico essere. Seduta sulla mia poltrona preferita, completamente assorbita dalla storia, sentivo rintoccare le ore di questi intensissimi pomeriggi dedichi a David dall’orologio della mia camera. I miei pensieri erano contrastanti; non riuscivano a soffermarsi sulla tragedia che pesava nel cuore del protagonista, ma indugiavano su tutto ciò che lo circondavano. La sua infanzia, che scorre lentamente con la scioglievolezza e la dolcezza di un sogno; l’ombra incombente del suo grande dolore e, una serie di sfortunati avvenimenti, che non avevano ancora una forma precisa.
E’ una storia in cui pervade una generale malinconia, ma nel mio inconscio aspettavo che la luce di un mero sprazzo di luce rischiarasse le tenebre dell’ animo di questi fantasmi. Quel raggio di sole abbagliante che per poco tempo veniva sporadicamente rammentandogli che in ogni comunità si mescolano il buono e il cattivo, e che la fugacità di un misero atto d’amore non doveva investire inevitabilmente anche l’atto più insignificante.
Vestire i panni del giovane David, anche se per un breve lasso di tempo, entrare nel giardino delle sue avventure – non scoprendo, tuttavia, le ombre ambigue dei suoi passi -, vederlo interagire con creature che ostacolarono il suo benessere e lo indussero alla disperazione, mi ha permesso di condividere pienamente questa storia che l’autore si porta dentro. I volti che, per qualche giorno, divennero famigliari ai miei occhi, al termine della lettura, col romanzo riposto sullo scaffale, immerso nella pace del giorno, svanirono nel momento in cui erano divenute “persone”. Lasciarono dietro di loro uno spazio vuoto che aveva una sua forma. Ma a brillare nella volta celeste, ed assistere continuamente alle mie spericolate immersioni in un epoca che ha sempre destato il mio fascino, era un unico volto: quello di David che, guardandomi attorno, nella meravigliosa serenità del giorno, mi tenne compagnia più di chiunque altro. Non fu quel genere di eroe che mi ero aspettata, ma, come il giovane Pip di Grandi speranze, un giovane scrittore pieno di ambizioni che mi narrò la sua storia quasi come una lunga e profonda meditazione sul senso della vita. Scritte in quelle che non sono altro che pagine della sua memoria, che si trascineranno fino a quando metterà il punto finale, per poter così mettere a nudo una parte della sua anima per noi completamente estranea. Derivati trascurati di una vita carica di sofferenze mentali, dolori, mancanze di speranze che, come un fastidiosissimo incubo, popolarono i suoi sogni. Gettando una spettrale aria di malinconia e pervadendo i sensi in una lenta agonia.
Nel pellegrinaggio solitario della sua giovinezza, che solo una volta giunto alla fine gli permetterà di scovare la sua identità, percorrerà quelle che non sono altro che le tappe della sua vita e, riversandole in quel contenitore che è la letteratura, brilleranno come la profondità di un altura smossa da qualcosa di lucente. Invadendo completamente il mio corpo di una strana luce, compiendo un incantesimo a cui non ho saputo resistere.
David Copperfield è un’opera radicata nel territorio dell’immaginazione urbana e negli spazi urbani, in cui fa sfondo una Londra distesa in una cappa di vapore. Tragico/comico, oscilla continuamente con la stessa energia verbale cui l’autore mescola le vicende di altri personaggi. E, su uno spazio capace di mutare ogni volta, adattandosi come una pelle al ceto sociale e al linguaggio di ognuno, Dickens, costituisce un palcoscenico frenetico in cui il lungo viaggio del giovane David entra in contatto con diversi meccanismi: la famiglia, l’istruzione, la prigione.
Racconto di un uomo apparentemente forte ma fragile, disilluso, timoroso del futuro e del senso della vita, trascinante, formativo e piuttosto appassionante, David Copperfield non è solo un affresco della letteratura vittoriana. Piuttosto un affascinante intreccio di follia, passione, affetti, malessere e benessere, ma anche un meraviglioso viaggio per aver permesso sia a David sia al lettore di crescere in questa tetra solitudine. Rifocillare l’anima, quando non aveva la certezza di poterlo fare.